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Una visita alla bella cittadina Svizzera di Poschiavo mi spinge a una riflessione sull’aspetto di una chiesa.

Guardando le ultime tendenze dell’architettura religiosa, alcune delle quali presentate anche a Koinè, mi viene da pensare che la ricerca dei progettisti si sia indirizzata verso soluzioni di grande evidenza volumetrica in cui sono più i materiali e i giochi di luce a creare quegli stacchi visivi che aiutano il fedele a raggiungere uno stato emotivo favorevole alla meditazione.
Già nella chiesa del convento domenicano de La Tourette, progettato dal grande architetto Le Corbusier nel 1956 era evidente un ritorno a quella semplicità formale proprio delle prime chiese degli ordini mendicanti dove fondamentale era l’attenzione rivolta all’altare e al pulpito. Anche due architetti-monaci del secolo scorso si erano interrogati su questo dilemma formale giungendo a conclusioni opposte. Ne ho parlato in questo articolo sul mio sito: Benedettini e architetti: Paul Bellot vs Hans van der Laan

Questa pulizia formale è anche tipica di molte chiese riformate dell’arco alpino dove la predominanza del bianco nelle pareti sembra proprio un invito alla concentrazione sulla parola letta e meditata.

Tuttavia la straordinaria fioritura dell’arte sacra in Europa nasce proprio dall’esigenza opposta, quella di insegnare anche attraverso l’immagine, di suggerire visioni e figure che potessero “muovere” o commuovere i fedeli.

Su quale delle due strade sia la più vera, o la più giusta, penso che il dibattitto possa essere non solo aperto ma infinito.

 

 

 

 

 

 

 

Durante un recente viaggio nella piccola ma bellissima cittadina svizzera di Poschiavo, nel cantone dei Grigioni, mi sono posto questa domanda osservando due chiese parrocchiali, poste a breve distanza l’una dall’altra, che pur simili nella struttura architettonica, esprimono in modo evidente queste due linee di pensiero nell’arte e nell’architettura cristiana. Avendole tanto vicine, ho visitato da prima quella cattolica, decorata, e poi quella evangelica, bianca  e spoglia. Il confronto è stato quindi inevitabile. Era una bellissima domenica di sole e la luce che entrava nella chiesa evangelica aveva un qualcosa di rasserenante.

 

 

 

 

 

 

 

Ma, e questa è una variabile che i progettisti contemporanei devono tenere in considerazione, l’effetto sarebbe stato il medesimo se fuori ci fosse stata una giornata grigia e piovosa?

Nella chiesa parrocchiale cattolica invece l’occhio e l’emozione erano catturati dalla bellezza delle sculture, che erano qui in legno policromo, e dall’empatia generata dalle immagini sacre.

Si potrebbe pensare quindi che un giusto bilanciamento, tra luce, colore, immagine sia la ricetta vincente. Ma proprio nella definizione di questo “giusto” risiede la grande sfida per ogni architetto che oggi si cimenta nella progettazione di nuovi spazi del sacro.

Finisco con una domanda: quale delle due atmosfere vi aiuta a trovare la vostra dimensione spirituale?

Di Cesare Romanò