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Da una posizione privilegiata, seppur precaria, due piccoli piccioni osservano uomini e donne che corrono, apparentemente, senza meta come se avessero "la neve in tasca". Quasi nessuno osserva loro, ignorando quel delicato equilibrio familiare, miracolo di vita avvenuto in pochi centimetri di pietra di fuoco...

Nell’articolo precedente vi ho parlato della vita frenetica che scorre al di là della finestra, quella della mia bottega.

Ricordate?

E’ dal suo interno che, salvo qualche giornata, dedicata agli affetti personali, per tutta l’estate ho continuato a creare e a osservare. 

Da allora, e non mi illudevo che potesse essere diversamente, non è cambiato quasi niente. La gente, tantissima gente, accantonando temporaneamente l’incubo della pandemia, continua a correre, spesso a testa bassa, tra odori di creme solari, gocciolanti gelati e voci metalliche di mappe “parlanti”.

Dal mio “osservatorio”, nel frattempo, ho avuto modo di assistere ad uno spettacolo che ai tanti frettolosi sarà sicuramente sfuggito. Si è trattato di una storia familiare, durata più di un mese, che ha avuto luogo nell’esiguo spazio tra la grata e l’altra metà della cornice di piperno di una finestra quasi speculare alla mia.

In quei pochi centimetri di pietra di “fuoco”, una picciona ha dato alla luce due piccioncini, allevandoli in quel delicato equilibrio, fino a quando, prima con timidi tentativi da una finestra all’altra, poi con sicurezza, li ha visti finalmente spiccare il volo (foto a lato).

Intanto mentre questo “miracolo” è passato quasi inosservato, io ho continuato a realizzare le mie “storie di cielo in terra”, avvalendomi ancora di una simbologia cristiana spesso celata. Lo faccio per chi ha ancora voglia di soffermarsi sul particolare, ma soprattutto per me, perché ciò diventa un costante catechesi attraverso la quale coltivo, giorno per giorno, tra alti e bassi, la mia amicizia con Lui.

Una di queste opere si intitola “Adoro Te devote Deitas” ed è stata realizzata nel 2016. Il titolo dell’opera allude all’abbandono cieco del credente a Dio, che si manifesta a chi è pronto ad accoglierlo.

 

 

La scena principale è quella della Natività di Cristo (foto sotto) con San Giuseppe che regge una lanterna (Lux Familiae), arricchita da personaggi e simboli che, come detto prima, nascondono significati teologici.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ripetersi della forma del triangolo, ad esempio, rimanda alla Santissima Trinità. Sulla mangiatoia è scolpito un piccolissimo San Francesco (foto sopra) a cui si deve, secondo la tradizione, la prima rappresentazione del presepe.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel pavimento a mattonelle esagonali, al centro è disegnata la stella di Davide. In basso si trovano i pani, i pesci e le otri che si riferiscono ai miracoli avvenuti nei pressi di Betsaida e a Cana, ma anche la rete “pescatrice di uomini” (foto a sopra). 

Sulla sinistra, un cesto di melograni per San Giovanni della Croce, metafora della perfezione divina, in contrapposizione al topo di spalle lì accanto, uno degli animali impuri. Di lato, un putto che, alla base della colonna, scolpisce un pesce uno tra i simboli dei primi cristiani. In primo piano, San Giovannino e l’agnello sacrificale. Dietro la Natività, due alberi d’ulivo e nei rami di uno di questi è posto il calice a ricordare Gesù nell’orto del Getsemani. Un putto, come presagio, ha in mano una Croce, mentre un altro l’ancora, simbolo dei primi cristiani (foto a lato). 

Il roseto, invece, ha il doppio significato di devozione a Maria per i suoi fiori e di passione di Cristo, per le spine, infatti è proprio uno dei suoi tralci a trasformarsi in corona di spine. Sulla scala triangolare, svetta il pavone, l’emblema dell’eternità, attaccato da un serpente alato (il demonio) che cerca di calarsi dal ricco pergolato che accoglie una vite con dodici grappoli d’uva come le dodici tribù d’Israele e i dodici apostoli. Uno dei grappoli è unito alla vite grazie ad una croce capovolta (Simon Pietro), un altro tramite un cappio (Giuda) a rappresentare i due “tradimenti” Un ultimo putto ha tra le mani i segni dell’Eucarestia: uva e grano.

In bassorilievo, nel retro dell’opera, l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine.

A vegliare su tutto è Dio Padre (foto a lato).

Non è stato facile sintetizzare tutto questo in una terracotta che misura trentacinque centimetri per lato e non è più alta di cinquanta, ma sono sicuramente la passione e la ricerca che spingono sempre verso sfide più ardue.

E’ per questo che, ancora oggi, dopo venticinque anni, sono dietro quella finestra, piegato sul mio banco da lavoro, a creare racconti in creta sempre più complessi.

Intanto, anche oggi, al di là del vetro vedo gente che “corre”.

Ad un tratto, entra un ragazzo che timidamente si avvicina ed inizia ad osservare.

Si chiama Bruno, dipinge e ha tanti sogni nel cassetto, a giorni inaugurerà una sua personale in uno locale della Cattedrale.

E’ un po’ sfiduciato, si siede e si “apre”… ma di questo parleremo la prossima volta.

Marcello Aversa